Ripartizione e capitalizzazione previdenziale


I moderni sistemi di previdenza sociale hanno in gran parte abbandonato i due criteri fondamentali che nel passato orientavano l’attività di prelievo e l’erogazione delle prestazioni da parte di enti previdenziali: la commisurazione dei contributi o dei premi ai rischi da coprire e l’equivalenza attuariale tra prestazioni da fornire e contributi pagati.

Come metodo di finanziamento si seguiva quello a capitalizzazione.

Anche l’Italia, dopo un progressivo allontanamento dai criteri esposti, nel 1969 ha sancito formalmente il passaggio dal modello contributivo — con cui si calcola la pensione in base all’ammontare dei contributi versati — a quello retributivo, con cui si fissa il livello di pensione in rapporto alla retribuzione percepita nell’ultima parte del periodo di attività lavorativa.

Nel contempo è stato abbandonato definitivamente il metodo a capitalizzazione per il finanziamento delle prestazioni, che consiste nell’accantonamento di risorse, attraverso contributi o premi, in modo che comunque, e in qualsiasi momento, si possano fronteggiare gli oneri connessi all’erogazione delle prestazioni.

Tale metodo è invece adottato dalle assicurazioni private. Al metodo a capitalizzazione viene contrapposto quello a ripartizione che consiste nel finanziare le prestazioni non già con la costituzione di riserve, ma con le entrate correnti.

Ne deriva che con quest’ultimo metodo il lavoratore non procede all’accumulo di risorse che poi utilizzerà al momento in cui cessa l’attività lavorativa, ma versa contributi che servono a pagare le pensioni in essere dei vecchi assicurati. Si verifica così un tipo di solidarietà tra generazioni: quella giovane sostiene quella anziana.

In Italia, il passaggio da un metodo all’altro è avvenuto in modo graduale e trova la causa fondamentale nei fenomeni inflazionistici ricorrenti nelle economie moderne. L’inflazione intacca il valore reale delle riserve proprio nei momenti in cui le esigenze di sostegno dei redditi delle categorie protette si fanno più pressanti.

Quanto più l’inflazione è elevata, tanto più distruttiva è la consumazione delle riserve; contemporaneamente cresce l’esigenza di interventi per ripristinare il potere d’acquisto delle pensioni, a loro volta ridimensionate nel potere d’acquisto dalla crescita dei prezzi.

In queste condizioni, alle maggiori spese si fa fronte con maggiori contributi, relegando le riserve a un ruolo sempre meno importante. Avviene così un trapasso graduale e ineluttabile dall’uno all’altro modo di finanziamento.

Sono in molti a ritenere che in un sistema di sicurezza sociale il metodo a ripartizione appaia più adatto a realizzare le finalità degli Stati moderni. Peraltro la differenza tra finanziamento con entrate correnti o con la costituzione di riserve è spesso irrilevante nella previdenza pubblica, dove tutte le poste vengono consolidate.

Si pensi al caso in cui le riserve sono costituite da titoli di Stato. All’ammontare dei titoli posseduti dall’istituto di previdenza fa riscontro un debito analogo da parte dello Stato.

Per far fronte alla prestazione l’istituto utilizza gli interessi pagati dallo Stato o il capitale corrispondente al valore del titolo scaduto; in ambedue i casi lo Stato deve sostenere oneri (per pagare interessi o rimborsare i titoli) equivalenti a quelli cui dovrebbe far fronte qualora il sistema fosse a ripartizione.

Se sul fronte del finanziamento per la previdenza sociale l’adozione del metodo della ripartizione appare più consona, non altrettanto può dirsi dell’abbandono del modello contributivo e della scelta del modello retributivo per il calcolo della pensione.

Infatti, l’assenza di un collegamento tra l’ammontare dei contributi versati e il livello della pensione molto frequentemente disincentiva l’assolvimento degli obblighi da parte dei contribuenti, mentre sul piano dell’equità pone seri problemi di disparità di rendimento dei contributi stessi tra coloro che hanno accelerazioni di carriera negli anni prossimi alla pensione e coloro che invece subiscono cadute di professionalità e di guadagno nella parte finale del periodo lavorativo.

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