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Come si determina un prezzo

venerdì 11 luglio 2008

Sono molti gli attributi che possono qualificare un prezzo. Nella vita di tutti i giorni, la valutazione sul livello dei prezzi guida il comportamento e governa le decisioni della svariata moltitudine degli operatori economici. Famiglie, lavoratori, industriali, commercianti, finanzieri, liberi professionisti, banchieri: il giudizio di convenienza regna sulle loro azioni.

Non sempre, però, le opinioni sul livello di un prezzo convergono. Il metro, infatti, con cui vengono valutati i prezzi spesso varia insieme con il soggetto che li misura. E un metro “elastico” perché dipende da molti fattori, che si combinano fra loro in modo diverso e mutano nel tempo e nello spazio.

Per entrare nei meccanismi che determinano i prezzi, conviene partire dalla definizione di cosa esattamente è un prezzo: è il valore di un bene o di un servizio che si determina quando avviene uno scambio. Si possono allora fare alcune considerazioni.

La nozione di prezzo non è svincolata dalle condizioni di luogo. Ciò significa che il prezzo di una stessa merce cambia a seconda di dove viene effettuato lo scambio che lo determina.
Esiste una teoria, detta del prezzo unico, che afferma che non dovrebbero esistere se non piccole differenze di prezzo per una stessa merce fra diversi luoghi.

Se, infatti, il prezzo di un bene variasse molto fra un luogo e l’altro, allora ci sarebbe convenienza a effettuare arbitraggi, ossia comperare dove il prezzo è più basso e rivendere dove è più alto, fino a quando non fosse raggiunto il livellamento su unico valore. Piccole differenze possono essere ammesse perché l’arbitraggio non opera quando il divario di prezzo da un luogo all’altro non è sufficientemente ampio da coprire le spese di transazione e di trasporto del bene in questione.

La legge del prezzo unico funziona molto bene in alcuni casi. In particolare su quei mercati dove le condizioni di operatività reali più si avvicinano alle regole della concorrenza perfetta: alta standardizzazione dell’oggetto degli scambi; grande numero di operatori e nessuno di dimensione tanto ampia da poter influenzare il mercato; vasta diffusione delle informazioni.

Questa situazione non è putroppo tipica dei beni e servizi di uso quotidiano ma piuttosto dei grandi mercati delle materie prime come oro, petrolio, ecc. e delle valute.

Riferendoci invece ai beni al consumo, la teoria del prezzo unico diventa sempre più lontana, vediamo il perchè.

L’esperienza quotidiana delle massaie insegna che si possono pagare per uno stesso bene o servizio somme di denaro spesso molto diverse.

Più in generale si può affermare che la legge del prezzo unico vale sempre meno man mano che si avanza nella catena della distribuzione commerciale (cioè man mano che ci si allontana dalla produzione e ci si avvicina al consumo finale) o anche man mano che si riduce la fungibilità (brutta parola che in economia significa sostituibilità) di un prodotto.

Non a caso, uno dei principali obiettivi degli strateghi del marketing è di differenziare il prodotto della loro impresa da quello degli altri, attraverso particolari confezioni o insistendo nelle campagne pubblicitarie su alcune caratteristiche distintive: “lava più bianco” è lo slogan usato per i detersivi, “consuma meno” quello una volta in voga per le automobili (ora si è tornati a puntare sullo status symbol: velocità, potenza, eleganza).

L’obiettivo è di rendere il prodotto “speciale”e “insostituibile” agli occhi del consumatore, e quindi di isolarlo dalla concorrenza di altri prodotti analoghi e far pagare così un prezzo relativamente più elevato.

Di fatto, i prezzi di uno stesso bene o servizio variano molto fra una nazione e l’altra, tanto che uno dei punti qualificanti di un famoso studio della commissione europea è il mettere in luce come le diverse barriere che ancora dividono i mercati nazionali all’interno della Comunità economica europea diano luogo a differenze di prezzo che in alcuni casi sono di quattro volte fra il più basso e il più alto.

Il prezzo di un bene varia anche con il tempo, perché cambiano le tecnologie con cui viene prodotto, oppure mutano le condizioni di mercato (per esempio, nasce un cartello, ossia i produttori non si fanno più concorrenza ma si accordano sulla quantità da offrire e sul prezzo), oppure si modificano i gusti dei consumatori. Spesso nelle decisioni economiche conta più il mondo di domani di quello di oggi.

Per esempio, quando bisogna fare un investimento le opzioni possono essere diverse perché esistono diversi tipi di macchinari, che si differenziano fra l’altro per l’ammontare di energia consumata; quello che consuma di meno costa però di più. Bisogna allora cercare di prevedere quale sarà in futuro l’andamento del prezzo del petrolio per acquistare il macchinario con il rapporto prezzo/qualità più efficiente.

Il continuo mutamento nel tempo dei prezzi è la porta principale attraverso cui le aspettative entrano nel comportamento degli operatori economici. Il termine aspettative indica semplicemente l’idea che gli operatori hanno su ciò che avverrà in futuro, e che li guida nelle decisioni. In apparenza è un concetto “rarefatto”, da alta teoria economica applicata all’analisi del comportamento dei sofisticati mercati finanziari e valutari. In realtà, le aspettative pilotano anche la “gente comune”.

La terza considerazione che si ricava dalla definizione di prezzo riguarda la misura. In altre parole, il valore di scambio in che cosa è espresso? E soprattutto, da dove viene? Perché il prezzo di una merce è più alto di quello di un’altra?

L’uomo della strada potrebbe rispondere così alla prima domanda: siamo ormai talmente abituati a leggere i prezzi attraverso la lente della moneta che non ha senso chiedersi qual è la misura dei prezzi. Da una nazione all’altra potrà cambiare la valuta, potranno essere euro, sterline, dollari o yen, ma la misura dei prezzi rimane la moneta. E corretta questa posizione?

Per rispondere è meglio partire da una precisazione. I prezzi monetari sono assoluti, ossia danno l’ammontare di denaro che occorre per acquistare un’unità di un dato bene. Nelle decisioni economiche contano spesso più i prezzi relativi. Il prezzo relativo è l’ammontare di un dato bene che occorre per comprare un’unità di un altro bene: per esempio, se occorrono dieci chili di pane per acquistare un chilo di pesce allora il prezzo relativo del pane in termini di pesce è di 1/10. E qui entra in gioco la moneta, la quale è considerata dagli economisti di tutte le nazioni come una merce a sè stante.

Tralasciando per ora gli aspetti monetari,  vediamo cosa determina il prezzo delle diverse merci. Secondo la teoria economica prevalente, i prezzi delle diverse merci, non importa come misurati, devono essere tali da consentire, da un lato, al sistema economico di ripristinare, una volta terminato il ciclo produttivo, le condizioni per il suo ripetersi, dall’altro di remunerare lavoro e capitale in modo uniforme da industria a industria.

La realtà economica, però, è fatta di salari diversi da settore a settore e anche di saggi di profitto spesso difformi.

In sostanza, il valore di una merce (ossia il suo prezzo) è il frutto di un cocktail molto ricco, in cui entrano fattori di domanda, come l’utilità e la struttura dei gusti dei consumatori (quest’ultima muta nel tempo, sia per l’evolversi dei modelli socioculturali sia per l’aumentare del reddito pro capite), e fattori di offerta, come la scarsità della merce e i costi necessari a produrla (i quali cambiano con la tecnologia, ma anche con il variare della distribuzione del reddito).

Infine, il cocktail che compone il prezzo è formato anche dalla forma del mercato (concorrenza più o meno perfetta, oligopolio, monopolio, ecc.) e dalle norme legislative e tributarie che ne influenzano il commercio.