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Obbligazioni indicizzate strutturali

lunedì 3 marzo 2014

Obbligazioni indicizzate strutturateObbligazioni indicizzate strutturali

Si tratta di titoli obbligazionari con caratteristiche notevolmente diverse a seconda dei casi, ma tutte comunque riconducibili all’esigenza di fornire al mercato titoli il cui valore sia protetto in tutto o in parte dalla perdita di potere d’acquisto della moneta.

Per approfondire:

http://www.mc2elearning.com/html/obbligazioni-indicizzate-strutturali.html

Certificati di credito zero coupon bond

mercoledì 23 luglio 2008

I CTZ ( o Certificati di credito del Tesoro Zero Coupon Bond)  sono per il risparmiatore dei veri e propri BOT, ma con la scadenza massima portata a 18 o 24 mesi, che il Tesoro ha creato nel 1995 allo scopo di allungare i tempi di restituzione del denaro ai pubblico.

I CTZ, pur offrendo di fatto la medesima sicurezza del BOT, molto apprezzata dal risparmiatore, possono essere convertiti in liquidità facilmente, essendo il loro valore quotato al MOT – Mercato Obbligazionario Telematico ed inoltre risentono molto poco di eventuali oscillazioni dei tassi d’interesse.

Lo Stato li cede attraverso il meccanismo d’asta (una per la scadenza 18 mesi e un’ altra per quella a 24) agli intermediari finanziari, che poi li rivendono al pubblico in tagli di 1000 euro o multipli.

Come i BOT essi sono titoli al portatore, che non sono stampati ma trattati esclusivamente in forma elettronica.

L’interesse globale che lo Stato paga nei due anni di vita massima di questo titolo è dato dalla differenza tra il valore nominale del CTZ alla data di scadenza e il prezzo di emissione iniziale.

Il guadagno netto che il risparmiatore riceve da questo investimento è dato dalla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita, su cui paga l’imposta a suo carico e le spese dell’intermediario, che sono allo 0,15%, quasi al livello dei BOT.

Essendo titoli di Stato a medio periodo, i prezzi in questione dipendono sia da quanti giorni il risparmiatore possiede il titolo, sia dall’ andamento del mercato finanziario, che in parte influisce sui livelli dei prezzi quotati giornalmente.

Infatti se i livelli iniziale e finale sono fissati durante l’asta, per cui chi detiene il titolo per tutta la sua durata non è sottoposto a rischi di mercato in quanto il guadagno complessivo lordo è fissato fin dall’inizio, chi detiene il titolo per una parte soltanto della sua vita può acquistare e vendere a un livello di prezzo diverso da quello del gradino matematico prima descritto nel paragrafo dei BOT.

La quotazione del CTZ è più bassa del livello del gradino matematico se il tasso d’interesse richiesto dal mercato per possedere quei titoli di Stato è più alto di quello fissato in sede di emissione e, viceversa, è più alta se il tasso d’interesse del mercato è più basso di quello d’emissione.

Il CTZ si rivela un buon titolo per il risparmiatore che si attende, dalle condizioni economiche dell’Italia o dell’Europa un futuro calo dei tassi d’interesse di mercato o un loro ristagno ai livelli correnti, ma che anche non vuole sbilanciarsi comperando titoli con durate troppo lunghe come quelle dei BTP (Buoni del Tesoro Poliennali) per essere sempre pronto a seguire l’eventuale rialzo del costo del denaro in una fase economica successiva.

Investire nei fondi etici

giovedì 17 luglio 2008

Aumenta l’interesse per forme di investimento che promettono un’attenzione, oltre ai rendimenti, anche a come e dove vengono investiti i soldi.

Crescono sempre più i risparmiatori che vogliono scegliere con maggiore consapevolezza gli strumenti finanziari sui quali puntare propri risparmi.

Per evitare di finanziare, per esempio, la produzione di armi; oppure, in senso positivo, per sostenere aziende attente all’ambiente.

Benché se ne parli molto solo da qualche anno, l’idea di applicare ai propri investimenti criteri etici è antica: già nel 1928 le chiese metodiste statunitensi avevano creato un fondo etico che escludeva dal portafoglio tutte le imprese coinvolte nella produzione di alcol o nel gioco d’azzardo.

Negli ultimi anni, con l’intensificarsi del dibattito sulla responsabilità sociale dei produttori, sull’ambiente, sulla globalizzazione, l’interesse dei risparmiatori è aumentato.

Il mercato risponde a questa esigenza e il risparmiatore italiano si trova oggi a disposizione un certo numero di fondi che si definiscono in vario modo “etici”.

Si tratta di strumenti molto differenti tra loro, non solo per il tipo di investimenti, ma anche nella definizione di ciò che ne caratterizza l’eticità.

D’altra parte, non esiste una legge che definisca a quali criteri precisamente debba rispondere un ente o uno strumento di investimento per potersi definire “etico”: tanto è vero che in passato ci sono state polemiche tra l’Associazione Finanza Etica e le banche che lanciavano progetti genericamente “etici”.

Ma quali caratteristiche dovrebbe avere un vero fondo comune etico?

Innanzitutto, vi sono fondi che selezionano i titoli su cui investire, creando il loro portafoglio in base a una serie di criteri non economici, ma che rispettano determinati valori. Per esempio, possono escludere titoli di Stato emessi da Paesi nei quali non vi è democrazia o dove non sono rispettati i diritti civili.

Oppure escludono obbligazioni e azioni di società che non rispettano i diritti dei lavoratori o che non rispettano determinati criteri ambientali o che non sono trasparenti nei confronti degli azionisti di minoranza; o ancora, di società attive in settori considerati eticamente deprecabili quali la produzione di armi, quella del tabacco, la pornografia, la produzione di organismi geneticamente modificati, la produzione di energia nucleare…. (la lista non è necessariamente esaustiva!)

Naturalmente, si tratta di scelte con un margine di soggettività: per esempio, un risparmiatore può non voler investire su azioni di una società che produce mine anti-uomo, e per questo motivo orientarsi su un fondo etico, ma allo stesso tempo potrebbe essere del tutto d’accordo con la produzione di energia nucleare e di organismi geneticamente modificati.

La selezione dei titoli viene di solito affidata dalla società di gestione dei fondi etici a società terze, specializzate proprio nella valutazione dell’eticità degli investimenti.

La valutazione delle società specializzate arriva ad attribuire dei veri e propri rating (in pratica, voti) relativi all’eticità di azioni e obbligazioni.

Sarà poi la società che gestisce il fondo a scegliere, all’interno dell’insieme dei titoli selezionati come etici, quelli più interessanti a livello di rendimento atteso.

Altri fondi si definiscono etici in quanto destinano una percentuale predefinita delle commissioni di gestione raccolte o del patrimonio investito o delle cedole distribuite a scopi considerati “etici”, quali possono essere il sostegno di progetti di ricerca, o di progetti di cooperazione internazionale o di enti benefici.

Per esempio, il fondo Bnl per Telethon destina ogni anno lo 0,6% del patrimonio del fondo alla Fondazione Telethon.

Il fondo Azimut Solidity consente al risparmiatore che vi ha investito di devolvere una parte dei rendimenti ottenuti (il 25% o il 50%) a una delle organizzazioni umanitarie partner del progetto.

Ne caso in cui il sottoscrittore prenda questa decisione, Azimut si impegna a versare alla stessa organizzazione un importo pari allo 0,24% del patrimonio del cliente, trattenendolo dalle commissioni di gestione e quindi rinunciando a parte di esse.

Alcuni fondi uniscono le due cose: sia selezionano i titoli sia finanziano attività a carattere etico.

È il caso, tra gli altri, di Aureo WWF pianeta terra, che sia seleziona le società in cui investire in base al rispetto dell’ambiente sia sostiene progetti in accordo con il WWF.

I fondi Valori Responsabili monetario, obbligazionario misto e bilanciato di Etica Sgr (gruppo Banca Etica) oltre a selezionare i titoli, per ogni importo in essi investito trattengono lo 0,1%, che viene versato in un fondo di garanzia per progetti di microcredito in Italia.

I fondi etici differiscono tra di loro anche perché (come tutti i fondi di investimento) appartengono a diverse categorie a seconda degli strumenti di investimento prescelti.

Come per qualsiasi altro fondo, l’appartenenza a una o all’altra categoria lo rende adatto alle esigenze di risparmiatori diversi: un fondo azionario sarà adatto a un risparmiatore con un orizzonte temporale più lungo e una buona propensione al rischio, mentre per rischiare meno e avere la possibilità di disinvestire a termine più breve si preferirà un obbligazionario.

Investire in ETF Exchange Traded Founds

giovedì 10 luglio 2008

Gli exchange-traded funds (Etf) sono fondi comuni aperti quotati su mercati esteri o nazionali i cui patrimoni hanno la stessa composizione di un determinato indice di Borsa; si contraddistinguono per commissioni di gestione di norma più contenute rispetto ai prodotti tradizionali.

In Italia gli Etf sono negoziati, a partire dal 30 ettembre 2002, sul Mercato telematico dei fondi (Mtf), il nuovo segmento del Mercato telematico azionario di Borsa Italiana dedicato alla quotazione e alla negoziazione di Etf, fondi aperti indicizzati, Sicav indicizzate, fondi chiusi mobiliari e immobiliari.

Nel contesto italiano, l’Etf si configura come una forma innovativa di fondo di investimento, negoziabile sul mercato come un’azione, ma che assicura nello stesso tempo i rendimenti dell’indice benchmark di riferimento a parte un limitato errore, positivo o negativo, definito tracking error.

Ad esempio, un Etf può seguire l’indice S&P/Mib della Borsa italiana, un indice dei mercati europei nel loro complesso oppure un indice del mercato statunitense. Il loro rendimento è determinato dall’andamento dell’indice di Borsa che replicano.

Gli Etf si possono acquistare e vendere in Borsa come fossero azioni, consentono una buona diversificazione dell’investimento e richiedono un capitale alla portata dei piccoli risparmiatori. Infatti l’acquisto minimo per una quota può essere anche di 100 Euro.

L’Etf riconosce i dividendi incassati a fronte delle azioni detenute in portafoglio, nonché i proventi del loro reinvestimento e i proventi derivanti dal prestito (securities lending) delle azioni del portafoglio gestito.

La negoziazione sui mercati regolamentati di questi strumenti ha esteso agli investitori retail l’accesso ai fondi aperti indicizzati come forma di diversificazione del rischio inizialmente utilizzata dai soli investitori istituzionali. In particolare, gli investitori possono prendere posizione su un indice attraverso un’unica operazione di acquisto/vendita.

Lo strumento è economico in quanto non ci sono commissioni di entrata o di uscita dal fondo e di performance e, come detto, considerando che la gestione è di tipo passivo, la commissione di gestione annua è strettamente contenuta (indicativamente 0,50% o meno).

Quando si comprano quote di un Etf, si investe nell’insieme dei titoli presenti nel suo portafoglio, guadagnando o perdendo a seconda del loro andamento sul mercato.

Il vantaggio rispetto a un normale fondo comune sta nella flessibilità: prezzo certo (senza l’incognita di conoscerlo solo dopo due giorni), possibilità di effettuare anche più operazioni di compravendita in una tessa giornata.

Gli Etf sono quotati su diversi mercati europei. Ad esempio, a Londra ce ne sono più di una ventina, su Euronext e su Francoforte ce ne sono circa una settantina e investono un po’ su tutto: da singoli settori, a singoli Paesi.

Sul sito di Borsa Italiana a questo indirizzo troverete le quotazioni in tempo reale degli ETF presenti sul MTF (Mercato Telematico dei Fondi) italiano.

Come funziona un fondo comune di investimento aperto

mercoledì 9 luglio 2008

I fondi comuni di investimento aperti sono patrimoni autonomi gestiti da una società di intermediazione mobiliare autorizzata. I fondi comuni di investimento possono riguardare azioni, obbligazioni e titoli in genere.

I fondi comuni di investimento sono suddivisi in quote, sottoscrivibili da parte dei risparmiatori o degli investitori , siano essi privati, aziende o enti pubblici. La differenza tra aperti e chiusi sta nel fatto che mentre nei primi è possibile richiedere il rimborso della quota in ogni momento, nei secondi questo non è possibile.

Il capitale di un fondo comune di investimento aperto può variare continuamente in relazione agli acquisti e alle vendite realizzate sul mercato ad opera dei gestori del fondo, e all’ andamento del saldo netto tra nuova raccolta e riscatti chiesti dai partecipanti.

Il fondo è suddiviso in “parti” che rappresentano quote di partecipazione al patrimonio comune, e il prezzo di ciascuna parte si determina come rapporto tra il totale delle attività nette del fondo e il numero delle quote in circolazione.

La struttura organizzativa dei fondi comuni poggia su tre soggetti:

• la società di gestione del risparmio, la quale esercita le funzioni di amministrazione del fondo comune;

• la banca depositaria, che esercita le funzioni di custodia dei titoli e di controllo sull’attività svolta dalla società di gestione del risparmio, assumendosene le relative responsabilità;

• l’insieme dei partecipanti (i sottoscrittori di quote del fondo), che provvedono a versare capitali che formano un compendio patrimoniale autonomo (fondo comune).

Sotto il profilo economico i fondi comuni devono essere considerati come una particolare categoria di intermediari finanziari che raccolgono risorse presso il pubblico dei risparmiatori e le trasmettono ad altri operatori del sistema economico.

I fondi comuni agiscono all’interno del mercato come richiedenti e offerenti di titoli, con continuità e per volumi importanti.

Destinatari dei mezzi finanziari raccolti non sono direttamente le società o gli enti che hanno emesso i valori mobiliari (acquistati dal fondo), bensì altri soggetti che costituiscono la contropartita degli acquisti effettuati dai fondi.

Il loro intervento conduce quindi ad allargare la dimensione degli scambi sul mercato secondario e solo indirettamente incrementa i flussi che soddisfano i fabbisogni finanziari delle imprese.

La normativa che regola i fondi comuni di investimento aperti è contenuta nel Testo Unico della Finanza (D.Lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998). Tutti i fondi comuni di investimento sono soggetti all’attività di vigilanza della Banca d’Italia.

I sottoscrittori di quote dei fondi non hanno diritto a influire sull’attività di gestione del patrimonio del fondo; essi infatti si limitano ad aderire a una proposta contrattuale integralmente precostituita e trovano la loro sola tutela nel controllo amministrativo dell’organo di vigilanza sul contenuto del regolamento contrattuale.

A fronte di tale adesione, ai sottoscrittori possono essere rilasciati certificati rappresentativi della quota di partecipazione al fondo, che nel caso dei fondi aperti sono rimborsabili in qualsiasi momento.

Nel diritto del partecipante al rimborso del valore delle quote, ossia alla liquidazione dell’investimento, si manifesta una delle principali caratteristiche dei fondi aperti, cioè non solo la libertà di entrata ma anche e soprattutto la libertà di uscita del risparmiatore in qualsiasi momento.

Su Yahoo Finanza è possibile ottenere le quotazioni dei fondi comuni di investimento. Per esempio a questo indirizzo viene pubblicata la lista aggiornata dei 30 migliori fondi ordinati per rendimento negli ultimi 6 mesi.

Su Yahoo Finanza è anche possibile fare ricerche su un singolo fondo o per settore, società di gestione, area geografica o specializzazione.

Esempio pronti contro termine

mercoledì 19 dicembre 2007

Come operazione di “pronti contro termine” viene definito il contratto con il quale un soggetto (tipicamente una banca) vende una determinata quantità di titoli, impegnandosi a riacquistare questa stessa quantità ad un termine convenuto (solitamente 3 mesi) e ad un prezzo prestabilito.

Si tratta quindi di uno strumento di investimento temporaneo di liquidità al quale sia i privati che le imprese possono ricorrere. Nell’operazione di pronti contro termine non è prevista la risoluzione anticipata del contratto.

Da tenere presente che fino al 2003 questo genere di operazioni non era previsto dal Codice Civile, mentre con il D.Lgs n.6/2003 sono stati introdotti gli articoli 2424-bis e 2427 c.c. ove si parla di “contratti di compravendita con obbligo di retrocessione a termine”.

Dal punto di vista fiscale, invece, i proventi derivanti da un contratto “pronti contro termine” sono assimilati ai redditi di capitale (art. 44, comma 1, lettera g-bis, Dpr n. 917/86)

In sostanza l’operazione rappresenta una vendita di titoli con impegno di riacquisto;

Il rendimento (o il costo) dell’operazione è determinato in primo luogo dal prezzo di vendita e dal correlativo prezzo di riacquisto, valori che sono determinati di comune accordo tra le parti contraenti e risultano conseguentemente condizionati dal rispettivo potere contrattuale.

L’evoluzione dei tassi di interesse sul mercato finanziario incide in misura determinante nella quantificazione dei valori di scambio.

Il prezzo di vendita dei titoli (quasi sempre titoli di Stato) è infatti determinato in base al tasso di interesse vigente per i titoli della stessa specie ed a quello previsionale alla scadenza del pronti contro termine.

Se, per esempio, le condizioni di mercato consentissero l’impiego di disponibilità liquide al tasso del 10%, i titoli con rendimento minore registrerebbero un prezzo di vendita inferiore al valore nominale; in tal modo l’ammontare della cedola, rapportato ad un valore più basso, darebbe luogo a condizioni in linea con il tasso di mercato del 10%.

Viceversa, in presenza di un rendimento maggiore, le richieste degli operatori alzerebbero il prezzo di acquisto a quel valore “sopra la pari” in rapporto al quale la cedola di interesse rappresenterebbe un rendimento equivalente a quello di mercato.

Le operazioni di pronti contro termine offrono in definitiva l’opportunità di impiegare mezzi liquidi in base alle condizioni di mercato del momento.

Caratteristico e fondamentale è l’impegno contrattuale della controparte (la banca) di rendere liquido l’investimento alla scadenza in base ad un prezzo predeterminato.

Ma vediamo ora un esempio concreto. Ipotizziamo una operazione di pronti contro termine caratterizzato dai dati seguenti:

– Valore nominale Euro 100,00;

– Tasso semestrale 1,875%;

– Durata giorni 30;

– Prezzo di vendita Euro 99,79;

– Prezzo di riacquisto 99,69;

– Costo del fissato bollato 0,009% (che non tiene conto dell’importo minimo e massimo dell’imposta).

L’addebito iniziale è dato quindi dal prezzo di vendita (99,79), dalle spese per il fissato bollato (0,009) per un valore globale pari a Euro 99,799.

Alla scadenza saranno accreditati Euro 99,69 quale prezzo di riacquisto, incrementate del dietimo di interessi maturato per 60 giorni, pari a Euro 0,625 per un importo complessivo di Euro 100,315.

Il dietimo è calcolato dividendo il tasso semestrale del 1,875% per 180 giorni.

Il rendimento dell’operazione su base mensile è dato da:

€ 100,315 – € 99,799  
—————————— x 100  =
€ 99,799  
€ 0,5160  
—————————— x 100 = 0,5170%
€ 99,799  

a cui corrisponde il seguente tasso effettivo annuo posticipato: (1,005170^6 — 1) . 100 = 3,14%

Analisi del rischio di un investimento

mercoledì 19 dicembre 2007

Esistono moltissimi approcci a questo problema, la maggior parte dei quali è off limits per il comune mortale. Intendiamo dire con questo che la maggior parte dei modelli scientifici di analisi e di valutazione del rischio di un qualsiasi investimento, implicano la conoscenza di matematiche complesse e la disponibilità di software molto costosi.

Cosa può fare allora un comune cittadino quando giustamente ha bisogno di analizzare preventivamente le diverse proposte di investimento che gli vengono fatte?

Prima ancora della valutazione delle proposte naturalmente è consigliabile avere le idee molto chiare sui propri obiettivi di breve, medio e lungo termine: ad esempio quanta parte dei vostri risparmi prevedete non vi servano di qui ad 1 anno, a 3 o a 5 anni, importo della massima perdita sopportabile, la vostra personale propensione al rischio, ecc.

Se non avete le idee chiare sui vostri obiettivi è bene effettuare una analisi approfondita della vostra situazione finanziaria attuale, dei vostri bisogni e necessità effettive, del grado di stabilità delle vostre entrate future, delle spese e quindi della effettiva capacità di risparmio futura, degli impegni che avete preso in passato, degli eventuali debiti attuali, ecc.

Addentrandoci un pò di più nel problema, vediamo che non esiste un solo tipo di rischio ma che invece esistono più tipologie di rischio legate allo stesso specifico investimento.

Una preoccupazione molto comune per chi fa un qualsiasi investimento finanziario è quella di perdere in tutto o in parte il capitale investito. Questo rischio è comunemente definito come “rischio capitale”.

Se l’investimento è fatto in una moneta diversa dalla vostra, ad esempio un investimento in fondi comuni australiani per un europeo, allora vi è oltre al rischio capitale un rischio aggiuntivo connesso alla probabilità che durante la vita dell’investimento il tasso di cambio dollaro australiano / euro possa cambiare. Questo rischio specifico viene detto “rischio valutario”.

Molte forme di investimento potrebbero inoltre non essere prontamente convertibili in danaro contante sui mercati o il mercato potrebbe richiedere del tempo prima di potervi mettere in grado di vendere, per inefficienze dovute al mercato stesso o perchè mancano i compratori. Questo rischio è detto “rischio liquidità”.

Il rischio che possano verificarsi problemi nella gestione interna dell’investimento con conseguente perdita di valore del titolo è chiamato “rischio finanziario”.

Un esempio eclatante di questa forma di rischio sono stati in italia i bond argentini e le azioni cirio e parmalat, investimenti per i quali si è verificato contemporaneamente il rischio finanziario e quello liquidità.

Un altro tipo di rischio molto familiare ma di cui non sempre se ne comprende appieno l’importanza è il cosiddetto “rischio mercato”.

In mercati molto liquidi come i mercati azionari americani ed europei i prezzi delle azioni sono determinati dall’equilibrio tra la domanda e l’offerta.

Se molti vogliono acquistare una determinata azione od obbligazione, il prezzo di quest’ultima aumenterà di conseguenza perchè ciascun acquirente è disposto a pagare di più di quello precedente.

L’inverso accade quando il numero dei venditori di quel titolo è maggiore di quello degli acquirenti. Ogni venditore è disposto a spuntare un prezzo inferiore pur di liberarsi del titolo e di conseguenza il prezzo scende.

Allo stesso tipo di rischio, il “rischio mercato”, è soggetto qualsiasi altro bene di investimento, come un immobile, una partita di stock, un fondo di previdenza o una obbligazione.

Contro alcune forme di rischio ci si può anche assicurare. Molte tipologie di rischio come quello finanziario, quello di mercato e persino quello inflazionistico, possono essere efficamente contrastate per mezzo di tecniche di diversificazione, la più semplice delle quali è quella di investire su un indice di borsa o un fondo bilanciato piuttosto che sul singolo titolo.