Archivio di dicembre 2007

Esempio pronti contro termine

mercoledì 19 dicembre 2007

Come operazione di “pronti contro termine” viene definito il contratto con il quale un soggetto (tipicamente una banca) vende una determinata quantità di titoli, impegnandosi a riacquistare questa stessa quantità ad un termine convenuto (solitamente 3 mesi) e ad un prezzo prestabilito.

Si tratta quindi di uno strumento di investimento temporaneo di liquidità al quale sia i privati che le imprese possono ricorrere. Nell’operazione di pronti contro termine non è prevista la risoluzione anticipata del contratto.

Da tenere presente che fino al 2003 questo genere di operazioni non era previsto dal Codice Civile, mentre con il D.Lgs n.6/2003 sono stati introdotti gli articoli 2424-bis e 2427 c.c. ove si parla di “contratti di compravendita con obbligo di retrocessione a termine”.

Dal punto di vista fiscale, invece, i proventi derivanti da un contratto “pronti contro termine” sono assimilati ai redditi di capitale (art. 44, comma 1, lettera g-bis, Dpr n. 917/86)

In sostanza l’operazione rappresenta una vendita di titoli con impegno di riacquisto;

Il rendimento (o il costo) dell’operazione è determinato in primo luogo dal prezzo di vendita e dal correlativo prezzo di riacquisto, valori che sono determinati di comune accordo tra le parti contraenti e risultano conseguentemente condizionati dal rispettivo potere contrattuale.

L’evoluzione dei tassi di interesse sul mercato finanziario incide in misura determinante nella quantificazione dei valori di scambio.

Il prezzo di vendita dei titoli (quasi sempre titoli di Stato) è infatti determinato in base al tasso di interesse vigente per i titoli della stessa specie ed a quello previsionale alla scadenza del pronti contro termine.

Se, per esempio, le condizioni di mercato consentissero l’impiego di disponibilità liquide al tasso del 10%, i titoli con rendimento minore registrerebbero un prezzo di vendita inferiore al valore nominale; in tal modo l’ammontare della cedola, rapportato ad un valore più basso, darebbe luogo a condizioni in linea con il tasso di mercato del 10%.

Viceversa, in presenza di un rendimento maggiore, le richieste degli operatori alzerebbero il prezzo di acquisto a quel valore “sopra la pari” in rapporto al quale la cedola di interesse rappresenterebbe un rendimento equivalente a quello di mercato.

Le operazioni di pronti contro termine offrono in definitiva l’opportunità di impiegare mezzi liquidi in base alle condizioni di mercato del momento.

Caratteristico e fondamentale è l’impegno contrattuale della controparte (la banca) di rendere liquido l’investimento alla scadenza in base ad un prezzo predeterminato.

Ma vediamo ora un esempio concreto. Ipotizziamo una operazione di pronti contro termine caratterizzato dai dati seguenti:

– Valore nominale Euro 100,00;

– Tasso semestrale 1,875%;

– Durata giorni 30;

– Prezzo di vendita Euro 99,79;

– Prezzo di riacquisto 99,69;

– Costo del fissato bollato 0,009% (che non tiene conto dell’importo minimo e massimo dell’imposta).

L’addebito iniziale è dato quindi dal prezzo di vendita (99,79), dalle spese per il fissato bollato (0,009) per un valore globale pari a Euro 99,799.

Alla scadenza saranno accreditati Euro 99,69 quale prezzo di riacquisto, incrementate del dietimo di interessi maturato per 60 giorni, pari a Euro 0,625 per un importo complessivo di Euro 100,315.

Il dietimo è calcolato dividendo il tasso semestrale del 1,875% per 180 giorni.

Il rendimento dell’operazione su base mensile è dato da:

€ 100,315 – € 99,799  
—————————— x 100  =
€ 99,799  
€ 0,5160  
—————————— x 100 = 0,5170%
€ 99,799  

a cui corrisponde il seguente tasso effettivo annuo posticipato: (1,005170^6 — 1) . 100 = 3,14%

Analisi del rischio di un investimento

mercoledì 19 dicembre 2007

Esistono moltissimi approcci a questo problema, la maggior parte dei quali è off limits per il comune mortale. Intendiamo dire con questo che la maggior parte dei modelli scientifici di analisi e di valutazione del rischio di un qualsiasi investimento, implicano la conoscenza di matematiche complesse e la disponibilità di software molto costosi.

Cosa può fare allora un comune cittadino quando giustamente ha bisogno di analizzare preventivamente le diverse proposte di investimento che gli vengono fatte?

Prima ancora della valutazione delle proposte naturalmente è consigliabile avere le idee molto chiare sui propri obiettivi di breve, medio e lungo termine: ad esempio quanta parte dei vostri risparmi prevedete non vi servano di qui ad 1 anno, a 3 o a 5 anni, importo della massima perdita sopportabile, la vostra personale propensione al rischio, ecc.

Se non avete le idee chiare sui vostri obiettivi è bene effettuare una analisi approfondita della vostra situazione finanziaria attuale, dei vostri bisogni e necessità effettive, del grado di stabilità delle vostre entrate future, delle spese e quindi della effettiva capacità di risparmio futura, degli impegni che avete preso in passato, degli eventuali debiti attuali, ecc.

Addentrandoci un pò di più nel problema, vediamo che non esiste un solo tipo di rischio ma che invece esistono più tipologie di rischio legate allo stesso specifico investimento.

Una preoccupazione molto comune per chi fa un qualsiasi investimento finanziario è quella di perdere in tutto o in parte il capitale investito. Questo rischio è comunemente definito come “rischio capitale”.

Se l’investimento è fatto in una moneta diversa dalla vostra, ad esempio un investimento in fondi comuni australiani per un europeo, allora vi è oltre al rischio capitale un rischio aggiuntivo connesso alla probabilità che durante la vita dell’investimento il tasso di cambio dollaro australiano / euro possa cambiare. Questo rischio specifico viene detto “rischio valutario”.

Molte forme di investimento potrebbero inoltre non essere prontamente convertibili in danaro contante sui mercati o il mercato potrebbe richiedere del tempo prima di potervi mettere in grado di vendere, per inefficienze dovute al mercato stesso o perchè mancano i compratori. Questo rischio è detto “rischio liquidità”.

Il rischio che possano verificarsi problemi nella gestione interna dell’investimento con conseguente perdita di valore del titolo è chiamato “rischio finanziario”.

Un esempio eclatante di questa forma di rischio sono stati in italia i bond argentini e le azioni cirio e parmalat, investimenti per i quali si è verificato contemporaneamente il rischio finanziario e quello liquidità.

Un altro tipo di rischio molto familiare ma di cui non sempre se ne comprende appieno l’importanza è il cosiddetto “rischio mercato”.

In mercati molto liquidi come i mercati azionari americani ed europei i prezzi delle azioni sono determinati dall’equilibrio tra la domanda e l’offerta.

Se molti vogliono acquistare una determinata azione od obbligazione, il prezzo di quest’ultima aumenterà di conseguenza perchè ciascun acquirente è disposto a pagare di più di quello precedente.

L’inverso accade quando il numero dei venditori di quel titolo è maggiore di quello degli acquirenti. Ogni venditore è disposto a spuntare un prezzo inferiore pur di liberarsi del titolo e di conseguenza il prezzo scende.

Allo stesso tipo di rischio, il “rischio mercato”, è soggetto qualsiasi altro bene di investimento, come un immobile, una partita di stock, un fondo di previdenza o una obbligazione.

Contro alcune forme di rischio ci si può anche assicurare. Molte tipologie di rischio come quello finanziario, quello di mercato e persino quello inflazionistico, possono essere efficamente contrastate per mezzo di tecniche di diversificazione, la più semplice delle quali è quella di investire su un indice di borsa o un fondo bilanciato piuttosto che sul singolo titolo.

Proposta di contratto assicurativo e accettazione

giovedì 6 dicembre 2007

Di solito la stipula di un contratto di assicurazione segue una procedura regolata da norme di legge che prevedono, come primo passo, la proposta, un atto che ha una importanza fondamentale per gli sviluppi successivi del contratto.

Nella maggior parte dei casi l’iniziativa nasce dalla compagnia assicurativa, la quale predispone le condizioni, le tariffe, i modelli di contratto e, attraverso la sua rete di distribuzione, le agenzie, si mette in contatto con il pubblico per promuovere le vendite; queste trattative, però, lunghe o brevi, verbali o scritte che siano, non costituiscono in senso tecnico una proposta.

La proposta, infatti, è la richiesta che chi abbia intenzione di stipulare un contratto rivolge all’assicuratore, proponendogli di assicurarlo; non ci stupisce come questa per molti possa essere una sopresa: ma non erano venuti loro a propormi di sottoscrivere una polizza? Battute a parte è bene sapere che la proposta parte sempre da colui che si vuole assicurare, indipendentemente dal fatto che sia stato lui a interpellare per primo l’agente o viceversa.

La legge non richiede che venga obbligatoriamente fatta per iscritto, anche se l’unica forma di proposta regolamentata dall’art. 1887 del Codice Civile in tema di assicurazioni è quella scritta.

In teoria la proposta potrebbe anche essere effettuata solo verbalmente; tuttavia, in caso di contestazioni su eventuali difformità fra proposta e contratto, è sicuramente preferibile avere a disposizione un documento ed è per questo che la forma scritta è la più diffusa.

Nella proposta devono essere contenuti tutti gli elementi del contratto, e cioè la descrizione del rischio, l’indicazione della somma da assicurare e le condizioni di assicurazione, prezzo e durata del contratto.

È per questo motivo che, al di là del contenuto della dichiarazione che proviene formalmente dal potenziale assicurato, nella sostanza la proposta è formulata dall’assicuratore su moduli prestampati contenenti tutte le indicazioni necessarie, moduli che vengono sottoscritti dal cliente.

Attenzione! Una cosa è la proposta, un’altra sono le condizioni generali di contratto. Quello che accade in pratica è che nella proposta di contratto c’è sempre una clausola che rimanda proprio alle condizioni generali di contratto, le quali sono solitamente scritte con caratteri molto piccoli, al limite della leggibilità!

Putroppo accade anche di frequente che la persona che si assicura firma la proposta senza leggere le condizioni generali di contratto e da questo fatto possono nascere dei guai, come ad esempio l’ignoranza di talune clausole fondamentali come il tacito rinnovo, le franchigie, le responsabilità accessorie della compagnia e quelle dell’assicurato, le clausole di esclusione, ecc.

L’accettazione invece è la dichiarazione con cui la compagnia assicurativa esprime la sua volontà di concludere il contratto propostole; può avere qualsiasi forma, anche se di solito viene fatta per iscritto, attraverso l’emissione della polizza, e, come la proposta, ha valore nel momento in cui viene a conoscenza dell’assicurato.

L’accettazione da parte dell’assicuratore può anche essere data contestualmente alla proposta. L’assicuratore che abbia ricevuto una proposta non è però obbligato a darvi riscontro — né in senso positivo con l’accettazione, né in senso negativo con il rifiuto — e in caso di silenzio non può essere ritenuto responsabile se, per esempio, nel frattempo si sia verificato un sinistro.

Il contratto di assicurazione quindi, come d’altronde qualsiasi altro contratto del diritto civile, si perfeziona ed ha valore soltanto quando la proposta viene accettata.

Nella maggior parte dei casi l’accettazione avviene, quindi, con l’emissione del contratto, ovvero nel momento in cui l’assicuratore ne produce una copia e la consegna all’assicurato; è molto frequente, però, che l’emissione del contratto avvenga oltre il termine di 15 o 30 giorni previsto dall’art. 1887 del Codice Civile per l’irrevocabilità della proposta, cioè quando la proposta non è più vincolante per chi l’ha sottoscritta.

E allora, se l’emissione della polizza non viene preceduta entro i termini di legge da un’altra comunicazione scritta con cui l’assicuratore comunica all’assicurato di aver accettato la sua proposta, questi può legittimamente rifiutarsi di stipulare il contratto, a meno he non abbia interesse a ritenere valida anche un’accettazione tardiva.

Anche per l’accettazione vale il principio che il termine si calcola in base alla data in cui l’assicurato ne ha notizia; se, per esempio, la compagnia ha emesso il contratto nei termini di legge, ma lo ha poi consegnato all’assicurato a termini ormai scaduti, questi è libero di rifiutarlo, non essendo più obbligato a rispettare la sua proposta.

Torneremo senza dubbio ancora sugli aspetti normativi e procedurali del contratto di assicurazione, con particolare riferimento alle clausole di una polizza assicurativa perchè crediamo che il consumatore debba potersi informare maggiormente e con più facilità prima di stipulare un contratto di assicurazione qualsiasi.

Cosa è un numero indice

giovedì 6 dicembre 2007

Spesso nella vita quotidiana, leggendo i giornali o ascoltando la tv, sentiamo parlare di indice ISTAT dei prezzi al consumo, indice di rivalutazione del TFR, indice EURIBOR a 3 mesi, indice di rivalutazione monetaria, ecc. Questi sono tutti numeri indici, e la materia che li definisce e li studia è la statistica. Esistono vari enti e osservatori che pubblicano periodicamente statistiche di ogni genere su fenomeni economici come l’andamento dei prezzi, quello della produzione, i tassi di interesse e così via. In Italia è l’ISTAT l’ente più conosciuto.

Ma sappiamo veramente tutti che cosa esattamente è un numero indice o indice statistico e soprattutto qual’è il suo esatto significato? Comprenderne la natura, il significato e soprattutto come viene calcolato ci auterebbe a leggere e ad interpretare decisamente meglio la mole di tavole pubblicate periodicamente dall’ISTAT disponibili tra l’altro anche su Internet e di cui spesso si danno per scontate parecchie cose.

Per capire come è fatto un numero indice, dobbiamo prima partire da 2 rilevazioni diverse nel tempo del prezzo unitario effettivo, espresso in Euro, di una stessa identica quantità di merce o bene di consumo nella stessa località geografica, per esempio prendiamo 1 Kg. di pane a Roma.

Supponiamo che al 30 settembre 2006 è stato rilevato che il prezzo medio di 1 Kg. di pane comune a Roma era di € 2,05 (Due Euro e cinque centesimi).

Esattamente 12 mesi dopo e cioè il 30 settembre 2007 nel medesimo luogo e cioè a Roma viene rilevato che il prezzo medio di 1 Kg. dello stesso pane comune è di € 2,20 (Due Euro e venti centesimi)

Quello che vogliamo fare è esprimere in termini numerici l’evoluzione (in questo caso l’aumento) di una determinata grandezza (in questo caso un prezzo) nell’intervallo di tempo tra 2 date successive.

Per esempio potremmo dire che l’aumento è stato di € 0,15 (quindici centesimi) al kilogrammo, cioè un aumento del 0,15 / 2,05 x 100 = 7,32 % (sette e trentadue per cento) negli ultimi 12 mesi.

Ma potremmo anche calcolare il rapporto tra il prezzo al settembre 2007 e quello al settembre 2006, cioè € 2,20 / € 2,05 = 1,073170 , il quale indica che la quantità di merce (il kilo di pane) che 1 anno prima costava 100, dopo 1 anno, cioè oggi, costa 107,32.

Possiamo infine moltiplicare il precedente rapporto per 100, cioè 2,20 / 2.05 x 100 = 107,32, espressione che indica che quella data quantità di merce (sempre il nostro kilo di pane) che costava 100 al settembre 2006, costa oggi (settembre 2007) 107,32, cioè un aumento del prezzo di 107,32 – 100 = 7,32 per cento; è proprio il numero 107,32 che, alla data del 30 settembre 2007, è chiamato indice del prezzo della merce studiata, e cioè indice del prezzo del pane, ma occorre aggiungere ancora una cosa importantissima in statistica: la base!

La base di un indice altro non è che la data alla quale facciamo riferire il 100! Per cui dire che l’indice del prezzo del pane a Roma è di 107,32 al settembre 2007 e basta non è sufficiente.

L’espressione corretta è: l’indice del prezzo del pane a Roma è di 107,32 a settembre 2007, con base settembre 2006 = 100.

Se al 30 settembre 2008 l’indice del prezzo del pane a Roma sarà di 115,00 (speriamo di no, naturalmente!) allora vorrà dire che l’aumento percentuale 2008 / 2007 sarà stato del 115/107,32 -1 *100 = 7,15% ma sempre con base settembre 2006 = 100.

L’aumento dell’indice del prezzo del pane a Roma tra il 2006 e il 2008, come risulta evidente dalla lettura immediata dell’indice stesso, e cioè 115, sarebbe del 15%.